Il rapporto di lavoro del dirigente:
Nell’ambito dell’art. 2095 cod. civ., il dirigente assume una posizione del tutto peculiare rispetto alle altre categorie di lavoratori (quadri, impiegati ed operai).
I dirigenti sono lavoratori subordinati, ma il loro rapporto è regolato quasi esclusivamente da normative speciali e dalla contrattazione collettiva dei diversi settori di appartenenza. I contratti collettivi di categoria riconoscono come dirigenti i lavoratori che in azienda ricoprono un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e la cui attività è diretta a promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa.
I diversi CCNL contengono l’indicazione dei requisiti cui è subordinato il riconoscimento della qualifica dirigenziale e talvolta individuano alcune figure tipiche di dirigente. A titolo meramente esemplificativo: direttori, codirettori; capi di importanti servizi e uffici; procuratori con stabile mandato, ecc. La corrente giurisprudenziale maggioritaria riconosce quale dirigente il lavoratore subordinato fornito di elevato grado di responsabilità verso l’imprenditore, cui presta una collaborazione di carattere prevalentemente intellettuale, allo scopo di coordinare l’attività aziendale nella sua totalità o in alcuni suoi grandi rami autonomi.
Il rapporto di lavoro tra dirigente e azienda può cessare per risoluzione consensuale, dimissioni o licenziamento; inoltre, si estingue alla scadenza del termine quando il contratto con il dirigente è a tempo determinato.
Ai dirigenti non si applica la disciplina che limita il potere di recesso del datore di lavoro e che subordina il licenziamento alla presenza di una giusta causa o di uno giustificato motivo. Alle norme del Codice civile (principalmente artt. 2118 e 2119 c.c), vanno aggiunte quelle contenute dalla contrattazione collettiva di categoria che hanno cercato di limitare possibili licenziamenti immotivati introducendo l’obbligo, per il datore di lavoro, di accompagnare il recesso con una motivazione contestuale.
Il potere di recesso del datore di lavoro è limitato, nel caso dei dirigenti, dalla c.d. giustificatezza dello stesso. Nessun contratto collettivo, però, fornisce una definizione di giustificatezza pertanto tale espressione deve essere intesa nel senso che, il licenziamento da parte del datore di lavoro deve essere privo di arbitrarietà. Si può ritenere ammissibile il licenziamento del dirigente nel caso in cui ragioni organizzative comportino la soppressione della posizione ricoperta o in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi aziendali. Il licenziamento è altresì ammissibile in caso di mancanze del dirigente o di una sua inadeguatezza rispetto alle aspettative aziendali o qualora il suo comportamento si allontani dalle direttive ricevute dal datore di lavoro.
Invece, il licenziamento si può ritenere illegittimo qualora esso sia fondato su un motivo pretestuoso o abbia il solo intento di liberarsi della persona del dirigente o ancora quando il dirigente si rifiuta di alterare il bilancio della società compiendo irregolarità contabili e fiscali. In caso di assenza di giustificatezza del licenziamento, essendo esclusa la possibilità di reintegrazione del posto di lavoro, spetta al dirigente licenziato un’indennità supplementare di mancato preavviso nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile. In genere tale indennità va da un minimo dell’indennità di mancato preavviso ad un massimo di 18-22 mensilità da corrispondersi a titolo di risarcimento del danno.
In caso di estinzione consensuale non esiste ovviamente alcun obbligo di preavviso: il rapporto cessa di avere efficacia secondo gli accordi intercorsi tra datore di lavoro e dirigente.
In caso di trasferimento di proprietà dell’azienda (compresi i casi di scorporo, fusione e concentrazione) non possono in alcun modo essere pregiudicati i diritti acquisiti dal dirigente. Secondo l’orientamento consolidato in Giurisprudenza, la facoltà di recesso accordata al dirigente dalla contrattazione collettiva si estende anche a quei casi in cui, per trasferimento di quote o azioni di società, si determinano ugualmente sostanziali cambiamenti nella titolarità dell’azienda, pur nell’ambito dell’immutata soggettività della società.