RISORSE UMANE

Comportamento antisindacale:

La Legge n. 300 del 20.5.1970, intitolata “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento“, c.d. Statuto dei lavoratori, riconosce al sindacato l’esercizio della impresa di alcuni diritti, quali la libertà e l’attività sindacale, e, allo stesso tempo, riconosce il potere di agire in giudizio, per la tutela degli interessi dei lavoratori.

L’art. 28 della legge di cui sopra, come modificato dalla l. 8.11.1997, n. 847, dispone che “qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazioni che vi abbiano interesse, il giudice del luogo dove è posto in essere il comportamento denunciato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti“.

L’azione in giudizio per la tutela degli interessi dei lavoratori ha, quindi, come presupposto una condotta antisindacale posta in essere da soggetti che svolgono attività imputabile al datore di lavoro. Il legislatore definisce come condotta antisindacale del datore di lavoro tutti quei comportamenti che vadano a ledere la libertà sindacale dei lavoratori, nozione volutamente ampia al fine di comprendere nella stessa qualsiasi attacco od ostacolo al libero svolgimento della dialettica sindacale.